17 Settembre 2011

Emergenza alimentare, portare aiuti in Somalia

 
Mary Robinson, Presidente onoraria di Oxfam, misura il braccio della piccola Ahukria. Credits: Jennifer O'Gorman/Oxfam
Somalia, la visita di Mary Robinson

Le Nazioni Unite hanno annunciato lunedì 5 settembre il peggioramento della carestia in Somalia. Il paese si trova nell’epicentro della siccità che ha investito l’Africa orientale e ha colpito 3.700.000  persone, mentre 3.200.000  hanno bisogno di immediato soccorso per sopravvivere.

Si teme un peggioramento della crisi umanitaria nei prossimi mesi e le scarse precipitazioni previste in alcune aree prolungheranno l’emergenza fino al prossimo anno.

Aiutare la Somalia, paese in cui è in corso un conflitto, è difficile, ma non impossibile.     Uno dei partner locali di Oxfam, Wasda (Waabi Shebelle Development Association), gestisce programmi contro la siccità che ha investito le comunità in Wajir, nel Kenya nord orientale, e opera nella stessa Somalia, nell’area del medio e basso corso del fiume Juba.

Il direttore del programma Wasda, Bashir Mohamed, che viaggia regolarmente attraverso la Somalia, parla con Caroline Gluck delle attuali sfide che bisogna affrontare per riuscire ad aiutare la popolazione somala.

“La scorsa settimana abbiamo visto un grande flusso di famiglie di pastori, circa 150, muoversi nelle zone attorno ad Afmadow, il quartier generale del basso Juba. Ci hanno detto che tutto il loro bestiame era morto ed erano dovuti  emigrare verso le aree dove abbiamo posizionato le cisterne d’acqua.

Un uomo anziano nella città di Oogani, ci ha raccontato che non aveva mai conosciuto delle condizioni di vita simili. Tutti i suoi animali erano morti e non poteva immaginare come avrebbero potuto sopravvivere nei mesi successivi.

Le cose, tutt’ora, non stanno migliorando. Lungo la strada si può osservare le cattive condizioni in cui versa il bestiame. Se la gente non verrà aiutata, non riuscirà a sopravvivere nelle prossime settimane. A gennaio e marzo si vedevano in giro grandi quantità di animali moribondi, poi le cose sono leggermente migliorate. Ma da luglio sono peggiorate di nuovo e tutti i pascoli sono già stati sfruttati.

Anche i pozzi poco profondi, che fornivano acqua alla gente, ora sono asciutti. La città di Afmadow, che ha una popolazione di 22.000 persone, poteva contare su circa 27 pozzi, ma negli ultimi 3-4 giorni si sono quasi tutti prosciugati. Questo è indicativo di come la situazione stia peggiorando sempre di più.

Alcune aree della Somalia, come Mogadiscio e Gedo, stanno ottenendo un maggiore aiuto. Ad eccezione del confine della città di Dobley – situata sulla strada che conduce al campo profughi di Dadaab in Kenya –, nessun aiuto ha raggiunto i somali che si trovano nel basso e medio Juba. Accedere a queste zone è un grave problema. Per trovare accordi con le autorità e avviare i programmi di aiuti, ci vuole molto tempo e i ritardi sono frequenti.

Ma spero che riusciremo a portare avanti il nostro lavoro velocemente. Abbiamo finalmente concluso l’accordo per far partire il programma di distribuzione di denaro. Individueremo 14.600 famiglie nel medio e basso Juba e spero che saremo in grado di cominciare questa settimana.

Da luglio trasportiamo l’acqua nel basso Juba, ma il numero di persone che ne hanno bisogno  sta crescendo e la situazione non fa che peggiorare. E stiamo quindi distribuendi sussidi ad alcune comunità, in modo che i pozzi possano funzionare 24 ore al giorno, oltre a riabilitare quelli poco profondi.

Stiamo pianificando di trivellare quattro nuovi pozzi nelle prossime settimane, nel basso Juba (in Hagar, Nasiriya, Wel Marow an Bibi). La trivellazione potrebbe richiedere diverse settimane. I siti sono stati scelti per la loro posizione strategica: le zone dove si pratica il pascolo sono molto lontane da fiumi, città o altri punti dove è presente l’acqua. Sono situate a circa 60 km di distanza o più da qualsiasi punto di raccolta d’acqua. Così quando saranno terminati i lavori, avremo aiutato molte persone.

Le condizioni in queste aree sono molto difficili, non ci sono strutture sanitarie e le persone sono molto limitate nei loro spostamenti.

La gente non fa altro che pregare che piova. Tuttavia, anche se la pioggia finalmente cadesse e raggiungesse tutti quanti, questa emergenza continuerebbe fino a gennaio e febbraio.

Stiamo pianificando di dare contributi agricoli ai contadini che vivono  nelle aree lungo il fiume Juba. Ma anche se i somali che vivono lì piantano le colture in ottobre, se non ci saranno abbastanza precipitazioni il raccolto non sarà pronto fino a gennaio o febbraio. A ottobre e novembre abbiamo pianificato aiuti in bestiame, ma gli animali non saranno in grado di riprodursi per molto tempo dopo.

Non ci aspettiamo un grande aumento della quantità di cibo disponibile, ma per lo meno  possiamo evitare che la situazione peggiori ulteriormente.

Comunque, se non pioverà per niente…  la situazione potrebbe sfuggirci di mano e dovremmo temere il peggio. Se la pioggia non cadrà, la comunità perderà quasi tutto e non avrà nessun mezzo per sostenere sé stessa. Le persone dovranno andare verso il campo di Dadaab o, se decideranno di restare, moriranno.

Il nostro contributo potrebbe rivelarsi un’ancora di salvezza per molte persone. Ma ce ne saranno ancora tante altre, i cui bisogni sono in costante aumento, ad aver bisogno del nostro sostegno. Nei prossimi quattro mesi, inizieremo a distribuire i soldi ad alcune comunità e questo potrebbe essere un punto di svolta della crisi.

Se supportiamo la gente con acqua, servizi sanitari e mezzi di sostentamento – e pianifichiamo una distribuzione di semi e attrezzature nelle prossime settimane – questo potrebbe essere un importante incoraggiamento per la gente”.

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