29 Settembre 2010

Formaggi d’oro per gli allevatori palestinesi

 
Preparazione del formaggio, Palestina. Credits Alberto Conti/OxfamItalia
Preparazione del formaggio, Tubas

La produzione di formaggio italiano ha saputo dar fama ad una cittadina,Tubas, e ad una delle sue aziende casearie modello, già da qualche anno in attività.

Situata a nord-est di Nablus, nel Nord della Palestina, abitata per la maggior parte da allevatori e contadini, Tubas, in passato, non suscitava grande interesse tra la popolazione locale, ed era completamente sconosciuta al di fuori della Palestina.“L’idea di portare il pecorino a Tubas naque 3 anni fa” racconta il Dott. Marie Shawahina, direttore e coordinatore del PLDC, il Palestinian Livestock Development Center.
All’inizio molto scettico all’idea di produrre un formaggio così nuovo, il Dott. Marie, decise comunque di seguire il fiuto di Stefano Baldini, l’allora responsabile locale dell’ONG Italiana UCODEP, che si occupa di aiutare il PLDC. “I miei dubbi non mi bloccarono dal seguire il progetto” confessa il Dott. Marie, “e ora guardi siamo famosi come la città che fa il formaggio italiano, anche se in realtà il formaggio italiano è solo una minima parte del nostro progetto.


Siamo una cooperative di più di 420 allevatori, nata 4 anni fa, con soli 70 allevatori, stiamo crescendo a vista d’occhio, abbiamo laboratori, un’unità veterinaria mobile e un fondo comune per medicinali, un silos per il mangime degli animali, e un centro per l’inseminazione artificiale, l’unico in Palestina. Ciò che però ci sta portando fama è l’aver prodotto formaggio italiano”. Era l’inverno del 2007  quando il Dott. Marie venne scelto per seguire un training in Italia per imparare a fare il pecorino e la ricotta. Una volta tornato a Tubas insegnò ad altri due “formaggiari” l’arte di fare formaggio italiano. “Di training in Palestina ce ne sono a migliaia e di ONG che fanno training ce ne sono a centinaia, ma quello che mi importava era di poter mettere subito in pratica quello che avevo imparato producendo ricotta e pecorino”, spiega il Dott. Marie.


Dopo un anno di successo della ‘Golden Sheep’, la marca con il quale il pecorino e la ricotta vengono commercializzati, fu il turno della mozzarella. “Da Caserta, città del sud dell’italia, arrivò per un training Donato il mozzarellaro”, racconta Matteo Crosetti, anche lui con l’UCODEP, e da tre anni in Palestina con il compito di cercare nuovi sbocchi per il ‘formaggio italiano’. “Eravamo alla ricerca di un nuovo prodotto, anche visto il successo che ormai stavamo ottenendo con gli altri formaggi e anche per trovare un prodotto che desse continuità alla produzione dei formaggi. Bisognava trovare un prodotto che potesse essere venduto in quel periodo dell’anno quando c’è un picco in basso del latte di pecora e di capra”. Produrre la mozzarella è risultato più complicato. “Il primo giorno di produzione la pasta non filava, caratteristica principale della mozzarella.  Si scoprì, con un esame in laboratorio, che il latte prodotto dalle mucche palestinesi era diverso da quello italiano. Il contenuto di grassi era di gran lunga inferiore di quello italiano e mancava la caseina, ingredienti necessari a far filare la pasta”. Fortunatamente con un po’ di ingegno non fu difficile per il mozzarellaro Donato modificare la lavorazione del latte.  Maneggiando meno la pasta e tenendo il tutto più a lungo all’aria aperta si ottenne in Palestina la tanto attesa mozzarella. “Non tutte le mucche producono latte adatto a far filare la pasta” spiega Matteo. “Le mucche che esistono oggi giorno in prevalenza in Palestina, non hanno la possibilità di pascolo, ma gli viene dato prevalentemente nutrizione di granaglio, una nutrizione non adeguata che va direttamente a colpire e comunque a determinare la qualità del latte e quindi della mozzarella”. “Prima avevamo le mucche ‘baledi’, dalle caratteristiche molto più simili a quelle Italiane”, spiega il Dott. Marie, “ma dopo l’occupazione le autorità Israeliane hanno imposto che comprassimo da loro mucche frisone”, che producono molto più latte delle mucche ‘baledi’ (60 litri prodotti dalle mucche frisone contro i 20 litri delle mucche ‘baladi’).  L’abbondante latte delle mucche frisone sembra comunque non essere adatto alla produzione della mozzarella. Le mucche ‘baledi’, pur costando di meno, e meno soggette a malattie hanno  bisogno di ampi pascoli, che si sono via via assottigliati, anche per la  confisca di intere aree destinate a strade e colonie. Siamo dovuti passare da un allevamento allo stato brado a uno di natura intensiva”, commenta il Dott. Marie.
La mozzarella Palestinese non ha le stesse identiche caratteristiche di quella Italiana, la nutrizione definisce la qualità del latte, “ma è pur sempre meglio del mattone che viene prodotto dalla polvere di latte in commercio un po’ ovunque nell’area israelo-palestinese. Gli stranieri e i palestinesi che hanno avuto modo di assaggiare la mozzarella italiana capiscono la differenza tra quella prodotta con il latte in polvere e la ”Golden Sheep”, commenta Matteo. Mentre il pecorino viene prodotto prevalentemente in inverno,  la mozzarella e la ricotta,  avendo un problema  di scadenza  vengono  prodotte su ordinazione. I nostri grandi clienti sono gli alberghi e i ristoranti di Ramallah e Betlemme, dove il nostro prodotto viene richiesto con due o tre giorni di anticipo, il latte  viene ordinato dai nostri allevatori e la mozzarella prodotta è immediatamente distribuita”.  “A volte riceviamo ordini all’ultimo momento come è accaduto di recente, per una serata importante al consolato Americano, la mozzarella viene fatta in giornata e portata direttamente col taxi”, racconta Matteo. Per il pecorino e la scamorza il problema  è di stagionamento. “Al momento ci serviamo di  una stanza con condizionatore e un umidificatore per mantenere la temperatura costante, ma il problema a Tubas, come in gran parte della Palestina è che spesso viene a mancare la corrente, sopratutto d’estate e quando succede è capitato di dover buttare via tutto il formaggio perché la temperatura non era rimasta costante e sopratutto il livello di umidità era cambiato, facendo spaccare tutte le forme di pecorino… Abbiamo comprato un generatore e ora stiamo iniziando gli scavi per una cava. Questa permetterà di mantenere dei costi ragionevoli” continua Matteo.


“Gerusalemme e il formaggio sono un gran mal di stomaco” scherza. Le potenzialità sono molto alte. Ma qui i prodotti della Golden Sheep, fatti in Palestina, incontrano una nuova serie di problemi e vanno a competere con i formaggi Israeliani. Il Dott. Marie non ha il permesso di entrare a Gerusalemme da dieci anni, date le restrizioni imposte dalle Autorità Israeliane, e quindi non ha alcuna possibilità  di vendere i formaggi che produce. Il compito ricade su Matteo e sugli altri Italiani che ricevono piccole ordinazioni da altri internazionali, ma niente se si considerano le potenzialità del  mercato. “In breve”, spiega Matteo, “la vendita dei prodotti di Tubas non è permessa né a Gerusalemme né in Israele. Non avendo il prodotto in questione tutte le certificazioni richieste dal governo israeliano”. Per il rilascio delle certificazioni gli israeliani dovrebbero fare dei controlli diretti e venire in Palestina, ma questo potrebbe essere facilmente superabile, stabilendo dei parametri e attuare i successivi controlli come tutti i prodotti in importazione. Intanto a Tubas arrivano gruppi di turisti interessati ad, “un turismo solidale” dice Matteo “ma spesso anche i Palestinesi, spinti dalla curiosità, vengono per il fine settimana, per vedere come viene prodotta la  mozzarella e magari anche per assaggiarne un pezzetto appena fatto”.

Yasmine Perni
Questo articolo su “Golden Sheep” è stato pubblicato sul numero n.24 (Luglio/Agosto 2010 ) della rivista “Incontro Mediterraneo” edita a cura della comunita’ italiana in Egitto.

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