24 Marzo 2015

Repubblica Centrafricana, una crisi che non dimentichiamo

 
Una cisterna mobile per l'acqua

Nel secondo anniversario dal violento colpo di stato del 2013, la campagna“You save lives” riaccende i riflettori sulla gravissima crisi nel paese africano: 2.7 milioni di persone hanno urgente bisogno di aiuti, 860 mila gli sfollati, l’80 per cento dei rifugiati sono donne o bambini, il 90% della popolazione vive quotidianamente con solo un pasto e nel 2014 un bambino al giorno è stato ucciso o mutilato.


A due anni dal violento colpo di stato del 24 marzo 2013, la situazione umanitaria in Repubblica Centrafricana è sempre più drammatica: 2,7 milioni di persone, su un totale di 4,6 milioni abitanti, hanno infatti  urgente bisogno di assistenza umanitaria e il 20% della popolazione è stato costretto ad abbandonare la propria casa, cercando rifugio all’interno del paese o in quelli vicini. Un’escalation di violenza che sta rendendo difficilissimo ogni tentativo di soccorso da parte delle organizzazioni umanitarie nei confronti della popolazione civile.


A 24 mesi esatti dall’esplosione di una delle più sanguinose guerre civili degli ultimi tempi, l’Unione Europea e Oxfam accendono i riflettori su una delle più gravi emergenze umanitarie del momento, attraverso la campagna “You save lives”, lanciata proprio per riportare l’attenzione sulla drammatica situazione degli oltre 51 milioni di profughi che oggi nel mondo sono in fuga da guerre e atrocità.


Una crisi, quella in Repubblica Centrafricana, di cui il mondo si sta dimenticando. Sullo sfondo però un quadro umanitario drammatico: tra ripetute ed estese violazioni dei diritti umani, omicidi, distruzione di proprietà, perdita dei mezzi basilari di sussistenza per le famiglie e un conflitto che ha già generato oltre 860.000 sfollati. Un paese in cui l’attuale stato di instabilità politica ha ulteriormente deteriorato le già fragili condizioni in cui versava la popolazione prima del conflitto, che adesso non ha quasi più accesso al cibo. Negli ultimi due anni, infatti, la produzione agricola è crollata del 58 per cento, mentre la rete commerciale interna è stata praticamente azzerata: oggi il 90 per cento della popolazione è costretta a sopravvivere con un solo pasto al giorno, mentre metà della popolazione dipende dagli aiuti umanitari per l’accesso al cibo, anche a causa dell’aumento esponenziale dei prezzi dei beni alimentari. Con un paese dilaniato dalla guerra, qui i contadini non riescono più a raggiungere e coltivare i campi. Quasi completamente azzerati anche i servizi di base: con gran parte delle infrastrutture andate distrutte, i servizi sociali e sanitari fanno fatica ad andare avanti, mentre le scuole adesso sono chiuse.


In questo quadro per sopravvivere la popolazione è costretta a emigrare e ad abbandonare il proprio paese. Un esodo, che oltre ad aver generato 438.000 sfollati interni, sta avendo un enorme impatto demografico sull’intera regione: oltre 451.000 persone hanno cercato la salvezza nei paesi limitrofi come Ciad, Camerun e Repubblica Democratica del Congo. Conseguenza? Molti profughi sono costretti a sopravvivere in rifugi temporanei, dove difficilmente arrivano gli aiuti umanitari e dove la popolazione è costantemente esposta alla malaria e ad altre malattie. Ovvio quindi che la maggior parte della popolazione voglia ritornare nelle proprie case, ma tema per la propria vita e per quella dei propri cari. E come se non bastasse, la mancanza di denaro trasforma la voglia di tornare a casa in un sogno irrealizzabile.


La difficile fuga per la salvezza


Un popolo in fuga tra mille pericoli e difficoltà, con la costante paura di essere uccisi: intere famiglie, che scappano lasciandosi tutto alle spalle  e arrivano nei campi profughi e nei paesi vicini stanche, disidratate, denutrite, ferite o traumatizzate. La maggior parte dei rifugiati è costretta a fuggire a piedi, camminando a volte per mesi. Durante questi lunghi viaggi della speranza, molti perdono amici e familiari, vengono attaccati e passano giorni interi nascosti per sfuggire ai pattugliamenti dei gruppi armati. Solo i più fortunati sopravvivono: si stima che, in soli sei mesi, 2.600 persone siano morte nel tentativo di abbandonare il paese. E anche se si supera indenni questa vera e propria odissea, le difficoltà di certo non finiscono. I paesi limitrofi che stanno ospitando la gran parte dei profughi centrafricani sono infatti stati messi in grande difficoltà dal costante flusso in entrata. I paesi ospitanti sono spesso privi degli adeguati servizi sociali e delle risorse per rispondere prontamente all’emergenza. Mentre dal canto loro, le associazioni umanitarie sono surclassate di richieste e non hanno abbastanza risorse per soddisfare tutte le esigenze.


“La crisi in Repubblica Centrafricana non può essere dimenticata. – spiega il responsabile emergenze umanitarie di Oxfam Italia, Riccardo Sansone –  La politica e i media devono riaccendere l’attenzione su uno dei più atroci conflitti della storia recente. Per affrontare l’emergenza umanitaria in corso, dato il grande impatto che il flusso di profughi sta avendo sui paesi vicini, è assolutamente necessario adottare un piano che affronti la crisi su base regionale”.


Le mille sfide per portare gli aiuti


Per la comunità internazionale, rispondere agli urgenti bisogni della popolazione sta diventando sempre più pericoloso. Le organizzazioni umanitarie sono diventate infatti bersaglio dagli attacchi dei gruppi armati: dal gennaio di quest’anno, 18 cooperanti sono morti e si sono registrati 142 incidenti che hanno colpito le associazioni umanitarie al lavoro sull’emergenza.


“Siamo seriamente preoccupati per la protezione dei civili, che resta l’obiettivo primario. Nonostante alcuni recenti miglioramenti, la situazione nel paese rimane molto instabile e ostacola il lavoro delle organizzazioni umanitarie” dichiara Karima Hammadi, responsabile per la Repubblica Centrafricana del Dipartimento per l’Aiuto Umanitario e  Protezione Civile (ECHO) della Commissione Europea.


Oltre a garantire l’incolumità dei civili, la priorità rimane naturalmente garantire l’accesso a cibo e acqua, sanità, strutture igienico-sanitarie, rifugi e strumenti basilari alle famiglie. “E’ assolutamente necessario che tutte le parti in causa, rispettando il diritto internazionale, prendano una serie di misure per assicurare la protezione della popolazione civile, garantendo alle organizzazioni umanitarie di poter portare gli aiuti,” conclude la signora Hammadi.


Il lavoro di Oxfam e UE a fianco della popolazione


L’Unione Europea, insieme ai suoi Stati membri, è l’ente che ha maggiormente contribuito all’assistenza umanitaria nella Repubblica Centrafricana, con oltre 146 milioni di euro stanziati dal 2014. La Direzione per l’Aiuto Umanitario e la Protezione Civile della Commissione Europea (ECHO) ha fornito risorse umane e finanziarie  a sostegno delle persone colpite all’interno del paese, e dei rifugiati che sono scappati nei paesi confinanti. Ha inoltre organizzato ponti aerei per trasportare soccorsi e personale umanitario dentro e fuori il paese. Come parte dell’intervento d’emergenza, l’Unione Europea sta sostenendo progetti che riguardano la protezione dei civili, l’accesso all’assistenza medica, la distribuzione di cibo e acqua, la fornitura di servizi igienici, la logistica e il coordinamento umanitario.


Assieme ad altre associazioni umanitarie, Oxfam sta facendo appello alla comunità internazionale perché venga garantita la protezione dei civili, e al contempo si lavori per garantire il rispetto dei bisogni essenziali della popolazione, lavorando per raggiungere la pace e la protezione di donne e ragazze. Oxfam è al lavoro nei campi profughi di Bangui e Bria all’interno del paese e nel vicino Ciad, dove migliaia di persone hanno trovato rifugio, attraverso la distribuzione di cibo e voucher alimentari,  acqua potabile, kit igienici e utensili da cucina, la riparazione delle infrastrutture idriche e interventi di sostegno all’economia locale, lavorando inoltre per rendere le comunità consapevoli sulle norme igieniche utili alla prevenzione delle malattie.

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