Il nostro mercato del lavoro è profondamente iniquo – con ampi divari territoriali, generazionali e di genere – e produce strutturalmente povertà. Forti precarietà, discontinuità e saltuarietà lavorativa, stagnazione salariale di lungo corso, ampie e crescenti disuguaglianze, vecchie e nuove forme di sfruttamento, un valore sociale scarsamente riconosciuto: sono queste, e da tempo, le caratteristiche strutturali del mercato del lavoro italiano.
I fattori che hanno concorso al diffondersi del lavoro povero in Italia sono molteplici. Un ruolo non trascurabile è ascrivibile alle politiche di flessibilizzazione degli ultimi 25 anni, che hanno portato a una moltiplicazione delle tipologie contrattuali atipiche e a una progressiva riduzione dei vincoli per i datori di lavoro ad assumere con contratti a termine. Altro fattore è il processo di deindustrializzazione di lungo corso e l’espansione dell’occupazione che ha interessato negli ultimi 20 anni settori a bassa produttività del lavoro (i servizi, il turismo, la logistica) con salari orari più bassi. Pesano anche le strategie competitive di molte imprese basate sulla cronica compressione del costo del lavoro e l’indebolimento della rappresentatività del fronte sindacale e delle associazioni datoriali.