
Farah Al-Basha si distingue tra una folla di operai e muratori nel campo profughi di Zaatari, in Giordania. Ha 27 anni, fa l’ingegnere, è donna e dall’inizio dell’anno lavora con Oxfam, dopo essersi licenziata da una società privata. Ai bunker dell’esercito e della Difesa ha preferito le latrine, le docce e le cisterne d’acqua che Oxfam costruisce in questo campo ai confini con la Siria. Da lei dipendono i piani di qualità, sicurezza e controllo, il coordinamento e la consulenza dei fornitori, le ispezioni in loco per garantire gli standard richiesti in ogni fase della costruzione.
“Volevo lavorare con una ONG, per fare qualcosa di utile e perché – mi sono detta – il lavoro non può essere solo una questione di soldi. Sono arrivata a Zaatari e all’inizio è stata dura, mai stata in un campo profughi prima, solo visto in tv. Ma lavorare per migliorare l’esistenza degli altri, decisamente ti cambia la vita. Alla fine quello che non riesci a mandar giù è la consapevolezza di non poter raggiungere tutti quelli che vorresti, davvero tutti, ovunque.”
Farah ha tentato di reclutare una squadra femminile, ma la prima donna ingegnere