25 Settembre 2015

A New York si discute sul futuro delle risorse del pianeta

 

Credit: La Stampa

dall’articolo di Francesco Petrelli, responsabile Relazioni Istituzionali di Oxfam Italia su La Stampa online del 24/09/2015


Gli obiettivi «sostenibili» sono 17: la fine della povertà estrema, l’obiettivo “Fame zero”, i diritti umani, i cambiamenti climatici, la riduzione della disuguaglianza. Le questioni per invertire la rotta di un mondo dove esplodono crisi e nuove contraddizioni


È in corso a New York l’assemblea delle Nazioni Unite in cui la comunità internazionale adotterà la nuova Agenda per gli obiettivi di sviluppo sostenibile da raggiungere entro il 2030. Gli obiettivi sono 17 e toccano tutti i temi: la fine della povertà estrema, l’obiettivo “Fame zero”, i diritti umani, i cambiamenti climatici, la riduzione della disuguaglianza. Tutte questioni decisive per invertire la rotta di un mondo che accanto a indubitabili progressi positivi ha visto esplodere crisi e nuove contraddizioni.


La conclusione positiva del processo di identificazione e definizione degli obiettivi e la convinta adozione dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile da parte dei leader mondiali è indubbiamente un successo che va riconosciuto ma che per essere davvero tale deve ora tradursi in politiche e pratiche a livello nazionale e globale. Nel rapporto pubblicato da Oxfam alla vigilia del vertice di New York “Inequality and the end of extreme poverty”, portiamo evidenze su come l’obiettivo di sradicare la povertà estrema entro il 2030 rischia di essere vanificato se non si interviene sul contrasto alla disuguaglianza estrema e sull’adozione di politiche che permettano ai più poveri di beneficiare degli effetti della crescita economica.


Luci e ombre di un paradosso
Quindici anni dopo il lancio degli Obiettivi del Millennio e a dieci anni dai solenni impegni del G7 di Gleneagles di “consegnare la povertà alla storia”, ancora oggi 1 miliardo di persone vive in una condizione di povertà estrema con meno di 1,25 dollari al giorno. Se da un lato è vero che negli ultimi quindici anni si è dimezzato il numero di persone che vivono in estrema povertà, facendo registrare già nel 2011 il raggiungimento del primo obiettivo del millennio, alcuni dati recenti dell’Overseas Development Institute dimostrano che il risultato sarebbe stato ancora migliore se il reddito dell’ultimo 40% più povero della popolazione fosse cresciuto più velocemente della media nazionale nei vari paesi. In questo caso avremmo a livello globale un tasso di povertà estrema più basso: pari al 13% invece dell’attuale 16%. In particolare se tutti i paesi in via di sviluppo avessero adottato dal 1990 al 2011 politiche di sostegno attivo alle fasce più povere della popolazione, il risultato sarebbe stato di avere già oggi 700 milioni di persone fuori dalla trappola della povertà.


La disuguaglianza killer della crescita
Il punto centrale quindi è il contrasto alla disuguaglianza e la ripartizione più giusta ed equa dei benefici della crescita che già in questi anni si è prodotta in tanti paesi del mondo con l’emergere delle nuove potenze economiche mondiali.
Secondo le proiezioni della Banca Mondiale, anche contando sulle più ottimistiche previsioni di crescita globale, non sarà possibile eliminare la povertà estrema entro il 2030 stando ai livelli disuguaglianza attuali. Eppure, non si tratta di un obiettivo impossibile da raggiungere. Esiste una via: affrontare la disuguaglianza attraverso una decisa azione politica e un piano efficace e concreto. Solo così – sempre secondo la Banca Mondiale – sarà possibile evitare che altri 200 milioni di persone cadano in una condizione di povertà estrema, allontanandoci dallo storico obiettivo dello sradicamento globale del fenomeno.


Questi numeri ci dimostrano che il famoso “effetto a cascata” – la crescita ha un prezzo ma alla fine a beneficiarne saranno anche i poveri, secondo l’assunto neo-liberista – è destituito di fondamento. Al contrario la crescita senza politiche di inclusione e di redistribuzione aggravano le differenze e sono un freno per le crescita, pregiudicando la qualità dello sviluppo.  
Proprio nei paesi dove la crescita ha visto una più equa ripartizione dei benefici per il 40% più povero e nel quale redditi e salari sono cresciuti più velocemente per queste fasce della popolazione rispetto alla media totale, registriamo i più grandi successi nella diminuzione della povertà. Emblematica la comparazione fra due economie emergenti come Cina e Vietnam che vede il primo paese, futuro leader dell’economia mondiale, fermo ad una percentuale di povertà estrema del 9%, mentre il secondo, attraverso una politica di ricadute della crescita più uniformi, ha registrato negli ultimi anni una significativa riduzione della povertà pari ora al 4%.


Sviluppo sostenibile: cosa fare globalmente… e in Italia
La sostenibilità economica e sociale dell’Agenda vuol dire quindi creare le condizioni di riequilibrio delle opportunità. Diversamente il rischio è che persino chi è uscito dalla povertà sia sostituito da nuovi poveri, magari in diverse aree del pianeta. Come dimostrato dal rapporto Oxfam dello scorso gennaio “Grandi disuguaglianze crescono” l’1% della popolazione, con le attuali tendenze, nel 2017 sarà detentore di più del 50% della ricchezza mondiale. Già oggi 80 super ricchi possiedono lo stesso ammontare di ricchezza di quello posseduto da 3,5 miliardi di persone, metà della popolazione mondiale.


Raggiungere gli obiettivi nel 2030 richiede un’azione urgente di attuazione dell’Agenda fin dal giorno dopo la sua adozione. Alcune richieste prioritarie che ai leader mondiali: ridefinire le regole della governance fiscale globale verso una maggiore equità e trasparenza mettendo fine agli abusi fiscali perpetrati da super ricchi e imprese transnazionali che sottraggono enormi risorse alla società; investire in servizi essenziali come sanità, istruzione, servizi pubblici. Allocare risorse in questi ambiti è strategico per la riduzione della povertà ed è fondamentale per la vita delle fasce povere delle popolazioni di tutti i paesi; assicurare che il lavoro degli uomini e delle donne più poveri sia compensato con giusti salari e svolto in condizioni sicure e dignitose, costituendo l’opportunità principale di uscita con le proprie forze dalla povertà estrema.


Al nostro Governo e al Presidente Renzi che sarà a New York, chiediamo in particolare di confermare gli impegni di un aumento delle risorse per la cooperazione e di assicurarne l’efficacia di allocazione in ambiti strategici per la riduzione della povertà come quelli della salute, dell’istruzione e degli investimenti in agricoltura. Inoltre, coerentemente allo spirito dell’Agenda chiediamo di definire un Piano Nazionale per l’Italia che si prefigga la piena realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile, a partire dall’introduzione una misura nazionale contro la povertà (solo l’Italia e la Grecia in Europa ne sono privi). Dati recentissimi della Caritas ci dicono che la povertà assoluta si è fermata, ma che negli anni della crisi 2007-2013 i poveri assoluti sono raddoppiati passando dal 3,1% al 7% coinvolgendo più di 4 milioni di persone. Questi numeri, paragonabili agli effetti di un dopo guerra, e i livelli di disuguaglianza pur presenti in Italia, costituiscono un peso insostenibile per ogni prospettiva di ripresa e di sviluppo del nostro Paese.

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