L’occupazione israeliana della Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, e delle Alture del Golan siriane prosegue ininterrottamente dal 1967. Da allora Israele ha progressivamente consolidato il controllo su questi territori attraverso la costruzione e l’espansione di insediamenti civili israeliani, sfollando con la forza e soffocando le vite delle comunità palestinesi.
Israele continua a ignorare le risoluzioni internazionali
Ad oggi Israele ha confiscato circa 2.000 chilometri quadrati di terra palestinese per la costruzione di insediamenti e strade di collegamento riservate ai coloni. Alcune aree sono state conquistate dallo Stato in via ufficiale, altre attraverso atti quotidiani di violenza da parte dei coloni. Questi due metodi, apparentemente non correlati, sono entrambi forme di violenza di Stato e compongono una strategia che mira a consolidare l’acquisizione di terra palestinese.
La Quarta Convenzione di Ginevra vieta alla potenza occupante di trasferire la propria popolazione civile nei territori occupati. Anche la Corte Internazionale di Giustizia e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite hanno dichiarato illegali gli insediamenti israeliani. Tuttavia, Israele continua a espandere le colonie e a costruire nuove infrastrutture, ignorando le risoluzioni internazionali e aggravando la crisi umanitaria nei Territori Palestinesi Occupati.

L’occupazione che divide e impoverisce
Oggi in Cisgiordania vivono oltre 700.000 coloni israeliani. La maggior parte degli insediamenti si trova nell’Area C, che costituisce circa il 60% del territorio cisgiordano ed è completamente sotto controllo militare e civile israeliano. In quest’area, le comunità palestinesi sono sottoposte a continui attacchi, demolizioni di case, trasferimenti forzati e detenzioni arbitrarie. La rete di colonie, strade e infrastrutture costruite per i coloni ha frammentato il territorio palestinese, rendendo sempre più difficile lo sviluppo economico e la coesione sociale.
Gli insediamenti israeliani e le infrastrutture associate coprono oggi oltre il 42% della Cisgiordania, e sorgono tutte su terreni sottratti con la forza.
L’occupazione, oltre a compromettere drammaticamente il tenore di vita dei palestinesi, ha conseguenze economiche a lungo termine devastanti: l’agricoltura palestinese, un tempo pilastro dell’economia locale, è stata gravemente colpita. Campi e frutteti vengono regolarmente distrutti o espropriati, mentre, secondo il Ministero dell’Agricoltura palestinese, quasi il 70% dei pascoli è ormai precluso ai palestinesi. In molte aree, le forze israeliane e i coloni distruggono e sradicano le colture per lasciare spazio a nuove colonie.

Gli insediamenti pastorali: una nuova forma di spoliazione
Negli ultimi dieci anni è aumentato rapidamente anche il numero dei cosiddetti insediamenti pastorali, fondati da pastori israeliani che confiscano grandi porzioni di terreno per l’allevamento. Si tratta di una forma di colonizzazione particolarmente distruttiva, perché richiede ampie superfici di terra e comporta lo sfollamento forzato delle comunità beduine palestinesi. Tra il 2023 e il 2025, decine di famiglie appartenenti a circa 20 comunità beduine sono state trasferite con la forza e sostituite da pastori israeliani. Il governo israeliano ha addirittura stanziato, nel bilancio 2024, circa 11 milioni di dollari per sostenere gli avamposti di questi insediamenti pastorali.
L’accelerazione dell’espansione
Negli ultimi anni il ritmo di costruzione degli insediamenti ha visto un aumento senza precedenti. Solo nel 2023 Israele ha approvato la costruzione di oltre 30.000 nuove unità abitative in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, un incremento del 180% nell’arco di soli cinque anni. La maggior parte di queste nuove costruzioni si trova nel cuore della Cisgiordania: questo significa ulteriore frammentazione del territorio e nuove restrizioni alla mobilità dei Palestinesi.

Parallelamente, nel 2023 sono stati installati 26 nuovi avamposti illegali, il numero più alto dal 1991. Gli avamposti sono generalmente iniziative non autorizzate di gruppi di coloni, che creano insediamenti al di fuori delle zone di competenza fissate dal governo israeliano. In base alla legge sono quindi illegali, ma è consuetudine che le autorità israeliane li approvino “retroattivamente” garantendo loro sostegno legale e il diritto ai sussidi economici previsti per gli insediamenti “autorizzati”.
Israele utilizza inoltre un’altra pratica ricorrente: dichiarare “terra di Stato” i terreni palestinesi, per aprire la strada alla costruzione di nuove colonie. Dopo che un’area è dichiarata “terra di Stato” israeliana, infatti, ai Palestinesi ne è vietata la proprietà e il territorio è assegnato a futuri progetti edilizi per soli coloni. Nel giugno 2024, 12,7 chilometri quadrati nella Valle del Giordano sono stati dichiarati “terra di Stato”: si tratta del più grande accaparramento di terre degli ultimi trent’anni.
Basta insediamenti illegali!
Il progetto di insediamento israeliano ha devastato la Cisgiordania, distrutto l’economia palestinese e negato il diritto all’autodeterminazione di un intero popolo. Le famiglie con cui Oxfam lavora subiscono quotidianamente la violenza dei coloni, gli espropri, i trasferimenti forzati e la negazione dei diritti fondamentali.

Nonostante la chiara illegalità degli insediamenti e le loro conseguenze umanitarie, molti governi continuano a mantenere rapporti economici e commerciali con Israele: l’Unione Europea e i suoi Stati membri, compresa l’Italia, costituiscono il suo maggiore interlocutore commerciale.
Per compiere un primo passo concreto in difesa dei diritti del popolo palestinese è fondamentale che l’Ue e tutti gli Stati membri mettano al bando il commercio con gli insediamenti.
Firma anche tu l’appello per chiedere lo “Stop al commercio con gli insediamenti illegali” e chiedi al governo italiano un impegno concreto per porre fine all’occupazione israeliana in Cisgiordania e alle continue violazioni dei diritti umani dei palestinesi.
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