Negli ultimi anni il nome di Francesca Albanese è diventato centrale nel dibattito internazionale sulla Palestina. Non è un caso mediatico nato all’improvviso, ma l’effetto di un ruolo pubblico molto esposto: dal 2022 è Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati dal 1967. La sua funzione è indipendente, non rappresenta l’Italia né un governo, e proprio questa autonomia le consente di documentare violazioni e criticità che spesso restano fuori dal dibattito politico.
Dopo l’escalation del 2023 e la crisi umanitaria sempre più grave a Gaza, le sue analisi sono state citate, criticate, sostenute o contestate in sedi istituzionali, media internazionali e governi. Per alcuni, le sue parole offrono uno dei pochi quadri giuridici in grado di leggere ciò che sta accadendo sul campo. Per altri, la sua voce è troppo netta, troppo esplicita, troppo scomoda.
Comprendere chi sia Francesca Albanese, cosa prevede il suo mandato e quali elementi emergono dai suoi rapporti significa capire meglio non solo la situazione dei diritti umani nella regione, ma anche il modo in cui la comunità internazionale interpreta e risponde alla crisi in corso.
Chi è Francesca Albanese
Francesca Albanese è una giurista italiana specializzata in diritto internazionale dei diritti umani. Ha lavorato con l’ONU, l’UNRWA e diverse organizzazioni internazionali, occupandosi di popolazioni rifugiate, protezione dei civili e diritto umanitario.
La sua selezione come Relatrice Speciale è avvenuta tramite una procedura ONU indipendente, basata su competenze, esperienza e valutazioni di merito.
Nel suo lavoro, Albanese analizza l’impatto delle politiche israeliane su diritti fondamentali come libertà di movimento, accesso alle risorse, protezione della popolazione civile e sviluppo economico.
Il suo incarico come relatrice speciale ONU
Il mandato dei Relatori Speciali è spesso frainteso. Albanese non è pagata dall’Italia e non rappresenta il governo italiano. Fa parte di un gruppo di esperti indipendenti che riferiscono direttamente al Consiglio ONU per i diritti umani.
Il suo incarico prevede:
- visite ufficiali nei territori palestinesi e nei Paesi coinvolti;
- monitoraggio continuativo e documentato delle violazioni;
- presentazione di rapporti annuali alle Nazioni Unite;
- dialogo con governi, ONG, istituzioni accademiche e comunità locali.
Questo ruolo richiede un’analisi giuridica rigorosa, basata su fonti, testimonianze e documentazione verificata.

Le sue denunce sui diritti in Palestina dal rapporto “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”
Il rapporto presentato da Albanese il 30 giugno 2025, intitolato “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”, è uno dei documenti più discussi degli ultimi anni. Il testo ricostruisce come, secondo la relatrice, l’occupazione militare israeliana sia progressivamente passata da una logica di controllo territoriale a un sistema che produce condizioni di vita “calcolate per distruggere” la popolazione palestinese. Il rapporto è strutturato in tre blocchi principali: trasferimento, sostituzione e fattori abilitanti e analizza:
- il ruolo degli apparati militari, tecnologici e carcerari nell’amplificare pratiche di segregazione e demolizione;
- il controllo delle risorse naturali, in particolare acqua, elettricità e carburante, come leve che determinano vulnerabilità cronica;
- i benefici economici derivanti dallo sfruttamento dei territori occupati, dal turismo nei siti sotto controllo militare al commercio della produzione agricola proveniente dagli insediamenti.
Nel testo, Albanese scrive una frase diventata centrale nel dibattito internazionale:
«L’attuale sistema non solo elimina ogni prospettiva di autodeterminazione, ma produce condizioni di vita che rischiano di dissolvere un intero popolo.»
Il rapporto ha generato forte attenzione perché utilizza il termine genocidio in senso giuridico, con riferimenti alla Convenzione ONU del 1948 con conseguenze politiche immediate.
Le reazioni politiche internazionali: dal sostegno alle accuse
Le reazioni al lavoro di Albanese sono state diverse e spesso contrapposte. Israele ha respinto il rapporto, accusando la relatrice di parzialità. Stati Uniti, Regno Unito e Germania hanno espresso dubbi sul suo linguaggio e sulle sue conclusioni. Al contrario, numerose ONG internazionali per i diritti umani hanno definito il rapporto un contributo fondamentale per documentare violazioni sistemiche.
A livello mediatico e politico, la discussione si è accesa anche sul suo ruolo e sulle sue prerogative. In Italia, alcune dichiarazioni pubbliche hanno diffuso informazioni errate sul suo incarico e sullo status economico della sua posizione: l’idea che Albanese sia “stipendiata dagli italiani” o che rappresenti il nostro Paese all’ONU è falsa.
Questa polarizzazione dimostra quanto la questione palestinese e la protezione dei civili siano temi che mettono alla prova la diplomazia internazionale.

Perché il suo lavoro è cruciale per Oxfam
Oxfam lavora da anni nei Territori Palestinesi Occupati e nella Striscia di Gaza per garantire accesso ad acqua, cibo, servizi igienici, protezione e sostegno alle famiglie colpite dalla violenza.
Le analisi della Relatrice Speciale contribuiscono a:
- chiarire il quadro giuridico in cui operano le organizzazioni umanitarie;
- evidenziare come restrizioni sistemiche su acqua, elettricità, carburante, movimento e commercio aggravino l’impatto delle crisi sulla popolazione civile, come già denunciato in passato da Oxfam.
In un contesto in cui milioni di persone rischiano fame, malattie e sfollamento, il lavoro di documentazione indipendente aiuta a comprendere le radici della crisi e a sostenere richieste di protezione dei civili e accesso umanitario.
Oxfam continua a operare a Gaza con interventi salvavita.
Contribuire ora significa sostenere l’accesso all’acqua potabile, ai servizi essenziali e alla protezione delle famiglie più vulnerabili.






