18 Dicembre 2015

Il clima dopo Parigi

 

Dopo 12 giorni di intense trattative, sabato 12 Dicembre si è chiusa a Parigi la XXI Conferenza delle Parti (COP21) sui cambiamenti climatici, con un accordo definito “storico” dalla stampa internazionale e da alcuni capi di stato e di governo per via del fatto che dopo 21 anni di faticosi negoziati internazionali e a 6 anni dal fallimento della Conferenza di Copenaghen, tutti i 195 paesi partecipanti hanno raggiunto un’intesa firmando il testo finale dell’accordo.

Guardando ai suoi contenuti però, appare chiaro che l’accordo è stato storico solo dal punto di vista diplomatico e non anche nelle ambizioni e nel coraggio di affrontare in modo decisivo il problema del cambiamento climatico che riguarda tutti nel mondo, ma colpisce in modo particolare le persone più povere e vulnerabili ai suoi impatti, che sono anche le meno responsabili delle emissioni di gas serra. Come riportato nel nostro ultimo report Disuguaglianza Climatica, la metà più povera della popolazione mondiale, che vive nei paesi più vulnerabili al cambiamento climatico, produce solo il 10% delle emissioni globali di carbonio, mentre il 10% più ricco del pianeta contribuisce al 50% delle emissioni globali di carbonio.

Alla vigilia della Conferenza, milioni di cittadini hanno marciato sulle strade di tutto il mondo per chiedere a gran voce un maggiore impegno per chiedere ai governi un accordo equo, ambizioso e vincolante per un mondo alimentato al 100% da energia rinnovabile entro il 2050. Ma a Parigi non si è andati oltre gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni (INDC) già dichiarati nei mesi precedenti, che anche qualora venissero rigorosamente rispettati, non consentiranno di contenere il riscaldamento del pianeta ben al di sotto dei 2 gradi, e ancor meno al limite di 1,5 come indicato dalla scienza e auspicato nel testo stesso dell’accordo. Non scongiurare l’innalzamento delle temperature di 3°C significa però condannare i paesi più poveri a dover far fronte entro il 2050 a costi che, secondo le nostre stime, ammontano a circa 800 miliardi di dollari l’anno per adattarsi agli effetti dei cambiamenti climatici.

Quali scenari futuri apre quindi l’accordo di Parigi?

Per raggiungere l’obiettivo di “zero emissioni nette” entro la seconda metà del secolo, come chiede l’accordo, senza dubbio non c’è tempo da perdere. Governi, imprese e cittadini non possono sedersi sugli allori. La retorica e il linguaggio diplomatico dell’accordo devono essere tradotti in azioni urgenti.

I contributi nazionali di riduzione delle emissioni devono essere rivisti e rafforzati prima del 2020, quando l’accordo sarà operativo, senza aspettare il 2023 per una prima verifica degli impegni mantenuti. I finanziamenti dei paesi ricchi per sostenere l’adattamento ai cambiamenti climatici dei paesi più poveri devono essere aumentati, intercettando risorse dall’adozione e l’implementazione di una tassa europea sulle transazioni finanziarie, in corso di negoziato tra 11 paesi dell’Unione Europea, e dallo stop ai sussidi ai combustibili fossili. Il settore privato deve mantenere i suoi impegni di riduzione delle emissioni nelle proprie filiere, utilizzando la propria leadership per richiedere ai governi politiche più ambiziose. I cittadini devono continuare a far sentire la propria voce per richiedere a governi e imprese una maggiore responsabilità e trasparenza.

A Parigi non si è vinta la sfida per la giustizia climatica. Se il mondo politico sta finalmente aprendo gli occhi sull’importanza di accelerare la transizione verso un nuovo modello energetico, di certo non ha ancora ben chiaro il livello di sfida che ci aspetta per adattare il nostro sistema alimentare, umanitario ed economico ai cambiamenti climatici.

Clima, fame e povertà: la sfida è la stessa. Oggi, tre disastri naturali su quattro sono dovuti al cambiamento climatico che è da solo la più grande minaccia alla sfida di vincere la fame nel mondo, e dalla prima COP del 1995 già 606.000 persone hanno perso la vita e circa 4 miliardi hanno subito danni e perso le loro case.

Noi continueremo ad essere al fianco delle persone più povere e vulnerabili, ma per essere più efficaci abbiamo bisogno del tuo supporto.

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