Pubblicato oggi il nuovo Indice di Contrasto alla Disuguaglianza, presentato da Oxfam e Development Finance International, al Meeting annuale del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale che ha preso avvio ieri a Bali.

L’indice misura l’impegno di 157 governi sulle politiche di contrasto alla disuguaglianza nel 2017, esamina, mette a confronto e classifica le loro scelte in tre macro-ambiti di intervento determinanti per la riduzione delle disuguaglianze di reddito nazionali:

  • spesa pubblica,
  • politica fiscale,
  • politica del lavoro.

 

La classifica dell’Indice di Contrasto alla Disuguaglianza 2018

Gli ultimi 10 Paesi dell'indice CRI 2018
Gli ultimi 10 Paesi dell’Indice di Contrasto alla Disuguaglianza 2018

Tra i 10 paesi in fondo alla classifica si trova Singapore, uno dei Paesi più ricchi al mondo, per cui tuttavia si registra una pessima performance in tutti e tre gli ambiti presi in esame dall’Indice. È infatti tra i 34 paesi dell’indice in cui mancano norme legali sulla parità retributiva e tra i 30 che non hanno in vigore leggi contro la discriminazione di genere, uno di pochi che non hanno introdotto il salario minimo, oltre a comportarsi come aggressivo paradiso fiscale societario.

La Nigeria risulta ultima a causa della bassa spesa sociale, del peggioramento delle violazioni dei diritti del lavoro e della scarsa capacità di riscossione delle imposte. Politiche che si abbattono su un paese dove 1 bambino su 10 muore prima di compiere 5 anni di vita.

Con punteggi scarsi anche Argentina e Brasile su cui pesano rispettivamente il congelamento della spesa sociale e le misure di austerità, scelte che rischiano di annullare i progressi ottenuti negli anni passati.

L’Indice di Oxfam evidenzia inoltre come nessun Paese, neanche tra quelli ai primi posti della classifica, è esente dal dover mettere in campo azioni correttive e maggiormente incisive per migliorare le proprie politiche di contrasto alla disuguaglianza.

I primi 10 Paesi dell'indice CRI 2018
I primi 10 Paesi dell’Indice di Contrasto alla Disuguaglianza 2018

Il primo posto lo guadagna la Danimarca, grazie ad un portato storico di politiche fiscali progressive, ampia spesa pubblica destinata al welfare, forti tutele per i lavoratori, eppure questi capisaldi della politica danese rischiano di essere indeboliti dall’attuale governo.

Tra i paesi più virtuosi ci sono anche Francia e Belgio che risultano al momento nella top 10 dell’indice, ma la cui posizione è messa particolarmente a rischio dalle annunciate riforme fiscali e del mercato del lavoro.

“La crescente disuguaglianza intrappola le persone nella povertà. ha dichiarato Winnie Byanyima, direttrice di Oxfam International – Vediamo bambini che muoiono a causa di malattie prevenibili in paesi in cui i budget sanitari necessitano di finanziamenti urgenti, mentre miliardi di dollari vanno persi con l’elusione e l’evasione fiscale. Tantissime donne vivono con salari da fame, senza che gli ritorni nulla o pochissimo della ricchezza che creano con il proprio lavoro. Ma niente di tutto ciò è inevitabile. I Governi spesso si comportano come se fossero seriamente impegnati a combattere povertà e disuguaglianza: questo Indice ci mostra quanto le loro azioni corrispondono alle loro promesse”.

Che posizione occupa l’Italia?

Di fronte a un preoccupante avanzamento della povertà, all’aumento della marginalizzazione e del rischio di esclusione sociale nel nostro Paese, il ranking relativo dell’Italia nell’Indice di Oxfam – 16ma a livello assoluto, e in 15ma posizione su 35 Paesi OCSE nel 2017 –  è dovuto  ancor oggi, in termini comparativi, al portato del welfare italiano, la cui connotazione universalistica corre tuttavia il serio pericolo di ulteriore deterioramento a fronte di alcune delle scelte annunciate dall’attuale governo in materia di politica fiscale e socio-economica.

“Se l’Italia si collocava a fine 2017 nelle parti alte della classifica, il rischio di ridimensionamento nel ranking è oggi estremamente elevato – ha aggiunto la direttrice delle campagne di Oxfam Italia, Elisa Bacciotti –  Il piano di riforme contenuto nella nota di aggiornamento al DEF, pur in assenza di molti dettagli specifici, lascia molte perplessità sulla reale capacità del nuovo governo di mantenere l’impegno di riduzione delle disuguaglianze assunto dal nostro Paese nel quadro dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.”

Sul fronte della spesa pubblica, secondo l’indice di Oxfam, l’Italia al momento si colloca al 152esimo posto (su 157 Paesi) per la percentuale di spesa pubblica destinata all’istruzione, meglio solo di Timor-Leste, Bahrain, Antigua-Barbados, Nigeria e Libano. Il ranking complessivo dell’Italia, 21esima in tema di spesa pubblica, beneficia della porzione di spesa pubblica destinata alla sanità (31esimo posto assoluto) e alla sicurezza sociale (settima posizione assoluta, preceduta solamente dalla Finlandia, Ucraina, Germania, Danimarca, Francia e Lussemburgo). Un capitolo di spesa, quest’ultimo, che privilegia tuttavia in maniera profondamente squilibrata il capitolo previdenziale a discapito della spesa per assistenza produttiva, rivolta ai più giovani tramite interventi di inserimento e reinserimento lavorativo e i sussidi di disoccupazione o alla famiglia con i contributi alla maternità.

In tema di politica fiscale, va rilevata invece l’81esima posizione assoluta dell’Italia quanto a progressività strutturale del sistema fiscale. Il ranking complessivo dell’Italia (13esima posizione assoluta) beneficia di una migliore media nei punteggi lungo altri indicatori del pilastro, ma è destinato a essere rivisto al ribasso con il raffinamento delle prossime iterazioni dell’Indice per quanto concerne la misura dell’efficienza dei sistemi fiscali che si baserà su stime comparabili dei tax gap nazionali al posto dell’attuale approccio incentrato su stime di produttività fiscale.

Venendo all’ambito del lavoro, l’Italia si colloca in assoluto in 36esima posizione (28esima fra i 35 Paesi OCSE), appena sotto la Spagna. Il ranking risente del punteggio basso (79esima posizione) dell’Italia sull’indicatore relativo al livello di salario minimo legale o, in caso dell’assenza della misura legale, del livello di retribuzione oraria nominale estrapolato, al ribasso, dai contratti collettivi nazionali del lavoro in vigore.

La Manovra economica accentuerà le disuguaglianze in Italia?

L’azione di Governo italiano sul fronte fiscale non presuppone ad oggi, secondo l’analisi di Oxfam, alcuna intenzione di favorire lo spostamento del carico fiscale da redditi e consumi a patrimoni e rendite. Mentre l’idea di una tassazione patrimoniale progressiva – che tenga conto, con accortezza, dell’entità e delle tipologie dei patrimoni – resta, purtroppo, ancora un tabù. L’eliminazione dei regimi di tassazione separata e la ricostituzione di una base imponibile ampia cui applicare un sistema impositivo autenticamente progressivo non è oggetto di discussione.

L’intenzione di fondo di portare a due, o addirittura a una sola, le attuali aliquote IRPEF, comporterebbe infatti la riduzione del grado di progressività e del potenziale redistributivo, già debole, dell’attuale sistema impositivo. Una vera involuzione che ha anche un costo non indifferente per l’erario accompagnato da interventi verosimilmente draconiani sulle deduzioni e detrazioni e foriero di tagli a servizi pubblici come scuola e sanità.

Sul fronte degli interventi di politica fiscale, inoltre agli annunci sul rafforzamento della lotta contro l’evasione fiscale e contributiva – un ammanco erariale stimato in 109 miliardi di euro all’anno, in media, nel triennio 2013-2015 – fa pericolosamente eco il progetto di ‘pace fiscale’, un intervento che si configura come un ennesimo “condono fiscale camuffato” a reiterato svilimento del concetto di equità fiscale e a discapito di chi corrisponde all’erario il dovuto.

Una riflessione a parte merita l’introduzione di una misura redistributiva come il reddito di cittadinanza, preceduta nel cronoprogramma del governo dal potenziamento dei centri per l’impiego. In attesa di poter valutare dettagli ufficiali tutt’altro che trascurabili – l’effettivo disegno della misura, il piano per la sua implementazione, le sorti dell’esistente reddito d’inclusione (REI) –  un’allocazione di risorse senza precedenti, capace di raggiungere una platea di beneficiari molto ampia deve essere valutata con attenzione. A preoccupare sono soprattutto le prospettate condizionalità della misura. Seppure nella cornice di una misura di sussidio e non di un effettivo provvedimento di ampliamento dei diritti democratici materiali, il progetto personale di attivazione ed inclusione sociale previsto dal REI ha il merito di affrontare i bisogni dei più vulnerabili a trecentosessanta gradi, tenendo conto della dimensione non economica della povertà, mentre l’erogazione del reddito di cittadinanza appare condizionata alla sola disponibilità all’attivazione lavorativa. Il lavoro – in parte gratuito in fase di ricerca, in parte offerto per tre volte consecutive e da accettare pena la perdita del sussidio  – è visto come unica via di fuga dalla povertà: un paradigma messo a dura prova in un Paese che occupa le prime posizioni in Europa per il numero dei lavoratori poveri.

Il diritto al lavoro – a quel lavoro su cui è fondata la nostra Carta Costituzionale – la sua tutela e promozione attraverso la creazione di posti di lavoro di qualità e adeguatamente retribuiti rappresentano il vero banco di prova su cui valutare l’azione del governo, dal piano degli investimenti pubblici, ancora tutto da leggere, agli effetti delle annunciate e preoccupanti agevolazioni fiscali alle imprese condizionate a nuove assunzioni, al rafforzamento, per ora non contemplato, delle tutele legali dei lavoratori (attraverso ad esempio l’introduzione del salario minimo a norma di legge).

 

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