2 Settembre 2016

Nel mondo muore 1 persona ogni 80 minuti lungo le rotte migratorie

 

Esattamente un anno fa la foto del piccolo Alan Kurdi, ritrovato senza vita sulla spiaggia turca di Bodrum, faceva il giro del mondo, generando ovunque sdegno e commozione. A un anno da quel 2 settembre, Oxfam ha calcolato che il numero dei migranti che hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere un altro paese sia aumentato di oltre un quinto.

In tutto il mondo sono morte 5.700 persone da allora, fuggendo dai propri paesi: un incremento del 22,2% rispetto all’anno precedente, che aveva registrato 4.664 decessi.

Questo significa che, dall’inizio del 2016, lungo le rotte migratorie in tutto il mondo muore 1 persona ogni 80 minuti.

In questo tragico quadro, il Mediterraneo si conferma la rotta più letale con 4.181 persone morte dal ritrovamento del corpo di Alan, il 12,6% in più rispetto all’anno prima: a dimostrazione di quanto sia fallimentare l’approccio dell’Unione Europea varato con l’Agenda sulle Migrazioni del maggio 2015. Il 2016, poi, è stato un anno particolarmente funesto: i numeri dicono che il numero di persone che hanno perso la vita nel Mediterraneo Centrale, dal Nord Africa all’Italia, nei primi otto mesi dell’anno, è quasi uguale a quello dell’intero 2015.

In più, tutti i calcoli effettuati a livello globale sono da ritenersi inesatti per difetto, dato che non si hanno rapporti e dati certi su alcune rotte. Alcune stime, ad esempio, dicono che l’attraversamento del Sahara per raggiungere la costa sud del Mediterraneo è ancora più letale dei viaggi via mare verso l’Europa.

Oxfam chiede con forza ai leader europei e del mondo di proteggere tutte le persone in fuga, assicurando vie legali, e per questo sicure, di accesso e garantendo procedure di asilo trasparenti.

Due importanti meeting sulla crisi migratoria globale si svolgeranno a New York il 19 e 20 settembre: il Summit delle Nazioni Unite per i rifugiati e migranti, e il Leaders’ Summit sui rifugiati convocato dal presidente Obama. Le negoziazioni per il Summit delle Nazioni Unite hanno già avuto luogo, ma sono state estremamente deludenti per la mancanza di reali impegni finanziari e piani per attuarli, con molti paesi riluttanti a fare di più in termini di ricollocamenti. Eppure questi due incontri rappresentano per i governi di tutto il mondo, e in particolare per quelli europei, un’occasione unica per poter dire che le persone vengono prima dei confini, e per impegnarsi nella tutela della vita e dei diritti di chi scappa da guerra e fame.

Le immagini del corpo del piccolo Alan Kurdi hanno commosso il mondo, eppure a un anno di distanza la situazione non ha fatto che peggiorare: migliaia di migranti sono morti da allora, soprattutto nel Mediterraneo ha detto Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam Italia  I due summit di New York sono un’occasione da non sprecare per trovare la giusta risposta al più grande movimento di popolazione dalla Seconda guerra mondiale. Le negoziazioni si sono chiuse in modo fortemente insoddisfacente per il prevalere di visioni egoistiche, ma i governi del mondo hanno l’occasione di cambiare approccio, decidere di aiutare i paesi più poveri che ospitano la gran parte di migranti e tutelare davvero i diritti di chi è in fuga da guerra, violenze e povertà”.

La storia di Alan Kurdi sembrava aver generato un cambio di passo: ‘Mai più!’ gridava il mondo dalle prime pagine dei giornali, e #WelcomeRefugees diventava hashtag di tendenza, raggiungendo 2,35 milioni di citazioni nei 12 mesi successivi. A dirlo è uno studio del Visual Social Media Lab dell’Università di Sheffield (Gran Bretagna), condiviso con Oxfam, secondo cui su Twitter si è avuto un aumento di interesse sul tema dei rifugiati, con un numero di tweet quadruplicato rispetto all’anno precedente.

Lo stesso sembra aver fatto l’immagine di un altro bambino, Omran Daqnees, siriano anche lui, salvato dalle macerie della sua casa di Aleppo. Ferito e impolverato come uno spazzacamino, ma con un’espressione attonita che ha sconvolto il mondo, inducendo a ricordare la violenza da cui moltissimi sono costretti a fuggire.

“La nostra analisi dimostra che dopo la morte del piccolo Alan Kurdi, il grande pubblico ha mostrato una maggiore familiarità con la crisi dei rifugiati, con un incremento impressionante delle discussioni sul tema su social media e ricerca di informazioni e notizie su Google” – ha detto Francesco D’Orazio, co-fondatore di Pulsar, azienda di audience intelligence, che è membro fondatore del Visual Social Media Lab.

Questo dovrebbe spingere i decisori politici a muoversi con più risolutezza in difesa dei diritti delle persone in fuga, facendosi portavoce dell’indignazione e del desiderio di cambiamento dell’opinione pubblica.

 

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