6 Maggio 2019

Qual è la posizione di Oxfam sulla crisi israelo-palestinese?

 

Cosa fa Oxfam nel Territorio Occupato Palestinese e Israele?

Oxfam lavora nel Territorio Occupato Palestinese e Israele sin dagli anni ’50, con un ufficio nazionale fondato negli anni ’80. Lavorando con organizzazioni partner israeliane e palestinesi, Oxfam mira a migliorare la vita dei palestinesi poveri ed emarginati che vivono a Gaza e in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est.

Il nostro lavoro si concentra sullo sviluppo agricolo, sull’emergenza e sulla salute primaria, sull’educazione, sulla protezione dei civili e sui diritti delle donne. Ad esempio, sosteniamo le cooperative di produttori di olive per migliorare la qualità dell’olio e raggiungere mercati più ampi. Lavoriamo anche con organizzazioni per i diritti umani per difendere i diritti civili e politici e porre fine alle politiche che causano povertà e ingiustizia.

Qual è la posizione di Oxfam riguardo al conflitto?

Vogliamo un accordo giusto e duraturo tra israeliani e palestinesi che metta fine all’occupazione e pace, sicurezza e prosperità per israeliani e palestinesi allo stesso modo.

Oxfam chiede una soluzione negoziata globale basata sul diritto internazionale sostenendo la soluzione dei due stati richiesta dalla comunità internazionale. Condanniamo la violenza contro i civili da tutte le parti in conflitto e crediamo che sia gli israeliani che i palestinesi meritino di vivere dignitosamente senza timore di violenze o oppressione.

Perché Oxfam è contro gli insediamenti?

Gli insediamenti israeliani in Cisgiordania sono ampiamente riconosciuti dai governi internazionali come una violazione del diritto internazionale e un grande ostacolo alla pace. Nel nostro lavoro quotidiano vediamo l’impatto negativo degli insediamenti israeliani sulla vita e il sostentamento delle imprese, degli agricoltori e dei pastori palestinesi. Questi insediamenti sono una delle principali cause della povertà palestinese e della negazione dei diritti che cerchiamo di affrontare nel nostro lavoro. Gli insediamenti continuano a espandersi attraverso la West Bank – negli ultimi 20 anni la popolazione dei coloni è più che raddoppiata raggiungendo oggi le 520.000 persone. Ciò ha provocato la confisca delle terre e delle risorse palestinesi e ha alimentato la povertà. Gli insediamenti minacciano anche la sopravvivenza di un futuro stato palestinese, lasciando la Cisgiordania smembrata in 167 enclavi non collegate tra loro. Oxfam sostiene la soluzione a due stati, ma gli insediamenti rappresentano una minaccia diretta per tale soluzione.

Ma gli insediamenti forniscono anche posti di lavoro ai palestinesi, no?

L’occupazione, di cui gli insediamenti israeliani nella West Bank sono una grande parte, è causa di povertà. Secondo la Banca Mondiale, le restrizioni all’accesso dei palestinesi all’Area C – il 61% della Cisgiordania sotto il pieno controllo del governo israeliano e dove si trova la maggior parte degli insediamenti – costano all’economia palestinese circa 3,4 miliardi di dollari all’anno.

Di conseguenza, la disoccupazione in Cisgiordania è aumentata, con quasi uno su tre palestinesi in età lavorativa con meno di 29 anni che è disoccupato. Alcuni palestinesi trovano lavoro nelle fattorie e negli stabilimenti israeliani, ma questo è spesso dovuto al fatto che sono limitati dal perseguire altri mezzi di sostentamento e hanno poca altra scelta.

Oxfam lavora con agricoltori che producono olio e pastori che vivono vicino agli insediamenti in tutta la West Bank a cui è impedito di accedere a parti della propria terra, e che ricevono molto meno acqua per persona rispetto ai coloni israeliani. I palestinesi nella zona C hanno bisogno dei permessi israeliani per costruire nuove case, pozzi, sistemi di irrigazione o rifugi per animali, ma oltre il 95% delle richieste palestinesi vengono respinte. Allo stesso tempo, gli insediamenti israeliani continuano a espandersi.

Circa 800.000 ulivi sono stati sradicati e nell’ultimo anno sono state demolite oltre 660 case e proprietà palestinesi. La sola produzione di olio d’oliva palestinese è diminuita del 40% negli ultimi dieci anni. Incapaci di guadagnarsi da vivere nella propria terra, l’unica opzione disponibile per molti palestinesi è spesso fabbriche e fattorie di insediamenti che ricevono sostegno dal governo israeliano.

Oxfam sostiene il boicottaggio di Israele?

No. Ci opponiamo al commercio con gli insediamenti israeliani in Cisgiordania perché sono costruiti illegalmente nei territori occupati, aumentano la povertà tra i palestinesi e minacciano le possibilità di una soluzione a due stati. Tuttavia, non siamo contrari al commercio con Israele e non sosteniamo il boicottaggio di Israele o di qualsiasi altro paese.

Non finanziamo attività che richiedono un boicottaggio, disinvestimento o sanzioni. Oxfam crede che una vivace società civile sia il modo migliore per superare la povertà e l’ingiustizia globale, e sappiamo che una forte società civile avrà molte opinioni e approcci diversi. Lavoriamo con più di 30 diversi partner israeliani e palestinesi e non ci aspettiamo che tutti siano d’accordo con noi su tutti i problemi politici. Alcuni di essi possono sostenere un boicottaggio, ma non finanziamo questa parte del loro lavoro.

Oxfam inoltre non finanzia né sostiene organizzazioni che promuovono pratiche antisemite o discriminatorie o che sostengono la violenza. Crediamo che il commercio con gli insediamenti, o le aziende situate negli insediamenti, contribuisca a legittimare la loro presenza e a negare i diritti dei palestinesi. Promuoviamo il consumo etico e sosteniamo il diritto dei consumatori di conoscere l’origine dei prodotti che acquistano. Pertanto sollecitiamo il governo israeliano a garantire un’etichettatura adeguata dei prodotti israeliani e dei prodotti originari degli insediamenti in modo che i consumatori possano distinguere tra loro.

Qual è la posizione rispetto alla recente crisi a Gaza?

Oxfam è seriamente preoccupata per l’attuale escalation di violenza a Gaza. Condanniamo la violenza da tutte le parti, chiediamo la protezione dei civili e la fine del blocco israeliano su Gaza, che in 11 anni ha causato immense sofferenze per i civili, paralizzato l’economia e impedito lo sviluppo vitale della regione.

 

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