8 Luglio 2025

Vite sotto occupazione: il lavoro invisibile delle donne palestinesi

 

Lavorare in un insediamento è un’esperienza terribile, ma non ci sono altre alternative di lavoro. Il mercato del lavoro palestinese offre pochissime opportunità – quasi nessuna.
— Wafaa, 53 anni

Wafaa ha lavorato per anni negli insediamenti non per scelta, ma per sopravvivenza. Come lei, oltre 6.500 donne palestinesi sono impiegate nei campi e nelle serre israeliane, spesso come unica fonte di reddito familiare, a causa della costante pressione economica descritta dal rapporto.

Le zone rurali della Valle del Giordano sono state svuotate: terre confiscate, case demolite, accesso all’acqua e l’accesso alla mobilità soffocati. Così le donne, soprattutto in villaggi come Al-Jiftlik e Al‑Zubeidat, affrontano ogni giorno un bivio: resistere senza reddito o svolgere lavori duri, precari e sotto occupazione.

Donne che resistono, ogni giorno

Lavoro nell’insediamento da 8 anni. Sono l’unica fonte di sostentamento per la mia famiglia. Finanziariamente, la situazione è difficile e mio marito è disoccupato. Se nessuno lavora, chi si occupa delle spese domestiche?
— Dalal, 43 anni

La voce di Dalal ci porta direttamente in un mondo paradossale: è costretta a lavorare in terreni che un tempo appartenevano alla sua comunità, per poter mantenere figli e marito disoccupato, con appena 90 shekel al giorno che corrispondo a circa 23 euro.

Quando il 60% delle donne impiegate negli insediamenti è l’unico sostegno economico della famiglia, e in villaggi come Al-Jiftlik e Al-Zubeidat oltre la metà lavora in queste condizioni, è evidente che non si tratta di eccezioni, ma di una realtà strutturale e radicata.

La trappola della disoccupazione

Usciamo di casa alle 3 del mattino e passiamo da una a due ore ai posti di blocco. A volte, ci vogliono tra quattro e cinque ore per raggiungere l’insediamento. Occasionalmente ci rimandano indietro… Vorrei questo tipo di lavoro fuori dalla mia vita.
— Mariam, 19 anni

Mariam racconta un altro tipo di grave sfruttamento: non solo il salario iniquo, ma anche la pesante detrazione fisica ed emotiva degli spostamenti quotidiani, che spesso durano due turni al giorno.

La crisi ha un volto umano evidente: quando, dopo l’offensiva militare di ottobre 2023, è arrivata la chiusura di molte attività, il 26% delle donne addette negli insediamenti ha perso il lavoro. Secondo i dati, il 77,6% di queste donne ha riportato conseguenze devastanti sull’economia domestica, poiché era la fonte principale di sostentamento.

Un esistenza sospesa tra bisogno e paura

Oltre allo sfruttamento economico, le donne subiscono molestie, furti salariali, orari estenuanti e l’assenza di contratti: il 94% lavora senza tutele, il 71% segnala turni logoranti, e il 93% condizioni di lavoro malsane.

Le loro testimonianze raccontano un’esistenza sospesa tra bisogno e paura, tra coraggio e oppressione: donne violentemente inserite in un sistema che le costringe alla fatica, senza neanche garantire dignità o stabilità.

Le parole di Wafaa, Dalal e Mariam descrivono un quadro chiaro: un’economia coloniale basata sullo sfruttamento sulla violenza che non si limita alla guerra, ma che si annida nella quotidianità.

Scarica il report che denuncia questo ciclo di sfruttamento e disuguaglianze

scarica il rapporto

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