17 Dicembre 2010

Palestina, le storie dei prigionieri bambini

 
Quasi tutti i bambini palestinesi arrestati subiscono violenze fisiche e psicologiche. Credits: Alice Sassu
Oxfam Italia lavora per tutelare i prigionieri bambini

Oggi anno circa 700 bambini e adolescenti palestinesi vengono arrestati dall’esercito israeliano. I minori vengono interrogati in assenza di un avvocato e di un membro della famiglia. Sono comuni testimonianze di maltrattamenti, e in alcuni casi di torture, la stragrande maggioranza dei minori confessa durante gli interrogatori. Oxfam Italia, con il progetto “I diritti dei minori in Palestina: tutela giuridica e psicosociale”, co-finanziato dalla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) della Farnesina e gestito dalla ONG Oxfam Italia in partnership con “Defence for Children International- Palestine Section (DCI/PS)” , cerca di far fronte a questa drammatica situazione garantendo un’adeguata tutela giuridica al minore ed un appropriato supporto psicologico.


Oggi vogliamo raccontarvi la storia di M., un ragazzino di 16 anni, nato e cresciuto in un paesino vicino a Nablus, che il 10 giugno 2010 e’ stato arrestato con l’accusa di aver acceso un fuoco vicino alla colonia illegale di Yizhar. Alle due di notte i soldati israeliani sono entrati nella sua casa l’hanno trascinato fuori e portato via, dopo averlo legato e bendato. Khandra, la madre di M., racconta: “Quando ho sentito urlare ho capito! I soldati israeliani stavano entrando nella nostra casa che e’ la più vicina alla colonia di Yizhar costruita sulle terre del nostro villaggio.”
M. e’ stato arrestato insieme al suo amico F., anche lui sedicenne. Dopo l’arresto, i due ragazzi sono stati  trasferiti in un carcere militare e interrogati. M. aveva paura: “Ci hanno accusato di aver provocato un incendio. Ci hanno minacciato di farci l’elettroshock. Volevano la nostra confessione. Mi volevano far firmare un documento scritto in ebraico. Io leggo solo l’arabo! Non capivo cosa c’era scritto”. Secondo le testimonianze, i due ragazzi al momento dell’incendio si trovavano a scuola e stavano sostenendo un esame. Queste evidenze non sono state prese in considerazione dal tribunale militare; anche in questo caso, come in molti altri, le prove a carico dei due minori erano “segrete”. L’avvocato del DCI/PS, che li rappresentava in tribunale, ha mantenuto costanti contatti con la famiglia per aggiornarli sulla situazione.
Dopo il processo i ragazzi hanno passato una settimana in cella d’isolamento, uno stanzetta piccola, angusta e senza finestre con un materasso per terra e la luce accesa 24 ore su 24 dove dormire risulta veramente difficile. M. urlava e piangeva, chiedendo di stare con gli altri detenuti. Il ragazzo ha confessato dopo una settimana ed e’ stato rilasciato.

La madre di M. ha chiesto il supporto del centro DCI/PS di Nablus per aiutare il figlio: “Prima della prigione M. era un ragazzo socievole che aveva molti amici. Ora e’ cambiato, passa molte ore da solo senza fare nulla. Non mangia insieme noi e passa tanto tempo a dormire. Ascolta canzoni che parlano del carcere. Vorrei comprargli una capra perché sia di nuovo felice.”

In contrasto con l’art. 37 della “Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia”, relativo al divieto di tortura o di altri trattamenti e punizioni crudeli, inumani e degradanti, quasi tutti i bambini palestinesi arrestati subiscono violenze fisiche e psicologiche che vanno dalla privazione del sonno all’isolamento.

Natalia Fais

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