25 Febbraio 2021

Yemen, il destino di un popolo appeso a un filo

 

Sei anni di guerra e l'impatto del Covid stanno lasciando lo Yemen senza un futuro, mentre la comunità internazionale ha stanziato appena la metà di quanto necessario per fronteggiare la più grave emergenza umanitaria al mondo.

Sei anni di guerra e l’impatto del Covid stanno lasciando lo Yemen senza un futuro, mentre la comunità internazionale ha stanziato appena la metà di quanto necessario per fronteggiare la più grave emergenza umanitaria al mondo.

di Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia

Il destino di oltre 30 milioni di persone in Yemen, oggi è appeso a un filo sottolissimo. Dopo quasi 6 anni di guerra si contano oltre 250mila vittime, di cui più di 20mila civili, ospedali distrutti, scuole e interi quartieri sventrati dalle bombe piovute dal cielo o dai colpi di mortaio da terra.

A monte, una logica di “profitto di guerra” attuata dai grandi esportatori mondiali di armi, Italia inclusa, che hanno continuato per anni a vendere armamenti per miliardi di dollari alle potenze regionali coinvolte nel conflitto, come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

E sebbene lo stop all’export di bombe e missili prodotti in Italia verso sauditi ed Emirati, deciso a gennaio dal Governo Conte, rappresenti un decisivo passo in avanti  – dopo anni di pressione delle organizzazioni umanitarie, che come Oxfam sono al lavoro sulla crisi – molto resta ancora da fare per arrivare alla pace.

In Yemen si continua a morire non solo per le bombe, ma anche per fame, mancanza di medicine, la diffusione incontrollata del Covid in tutto il paese, la più grave epidemia di colera di sempre.

2 famiglie su 5 sono costrette ad indebitarsi per acquistare cibo e medicine

“Giorno dopo giorno viviamo in un incubo. Per fortuna, fino ad ora, non abbiamo avuto bisogno di alcun tipo di trattamento medico, ma se ne avremo bisogno di certo non ce lo potremo permettere”, racconta Layla Mansoor, 31 anni, costretta a fuggire con la sua famiglia dai combattimenti ad Hodeidah, tre anni or sono, solo con i vestiti che aveva addosso. La sua è una delle tante storie, simili tra loro.

In questo momento in Yemen  oltre 2 famiglie su 5, mese dopo mese, sono intrappolate in una spirale di debiti, costrette a comprare cibo e medicine a credito dai pochi negozianti ancora aperti, che possono permetterselo di concederlo solo a chi può contare sull’aiuto economico che le organizzazioni umanitarie riescono a dare. E, nella maggior parte dei casi, si deve scegliere se sfamare i propri figli o curarli quando serve.

Hind Qassem, 45 anni, era incinta del suo decimo figlio quando suo marito è stato ucciso da un proiettile di artiglieria. Costretta a fuggire, per mesi lei e la sua famiglia hanno vissuto del poco cibo che veniva elemosinato loro dagli altri sfollati, ma tre dei suoi figli non potevano fare le trasfusioni di sangue di cui hanno bisogno ogni mese, soffrendo di anemia falciforme. Adesso riceve un aiuto e le cose vanno un pò meglio, ma quanto durerà?

“Ogni mese ricevo circa 70 dollari, ma non è abbastanza per coprire tutti i nostri bisogni, anche se senza non potremo andare avanti  – racconta Hind – Ora posso pagare le cure dei miei figli e i negozi ci consentono di acquistare cibo a credito perché riceviamo un’assistenza mensile”.

Dall’inizio della guerra nel 2015, il numero di famiglie costrette ad indebitarsi per comprare beni essenziali è aumentato del 62%. Il tutto mentre, con l’impatto della pandemia, l’inflazione nel paese ha fatto schizzare alle stelle i prezzi dei beni essenziali.

Una tempesta perfetta che coinvolge 20,7 milioni di yemeniti, il 66% della popolazione, che dipendono totalmente dagli aiuti umanitari per poter sopravvivere. Tra loro 18 milioni di persone che non hanno accesso a cure di base, in un paese in cui la metà delle strutture sanitarie sono state distrutte, mentre oltre 16 milioni sono senza cibo. Secondo le stime in alcune zone delle Yemen 1 bambino su 5 è gravemente malnutrito e senza aiuto, se sopravvive, ne porterà con sé i segni per il resto della vita.

Nel frattempo il Covid ha già raggiunto 10 governatorati su 23, e i pochi ospedali in funzione sono presi d’assalto e non riescono a rispondere ai bisogni che crescono giorno dopo giorno.
Qui non ci sono test diagnostici, strumenti di protezione, né tantomeno vaccini e le poche migliaia di casi registrati non sono, con gli ogni probabilità, che una piccola parte della reale estensione del contagio.

L’impegno insufficiente dell’Italia e della comunità internazionale: cosa farà il nuovo Governo?

Al momento l’appello delle Nazioni Unite, per far fronte all’emergenza è stato finanziato per appena la metà di quanto necessario dai grandi donatori internazionali. Sono mancati all’appello 1,5 miliardi di dollari.

Il primo marzo ricorre l’annuale conferenza internazionale dei paesi donatori per finanziare la risposta umanitaria. L’anno scorso l’Italia ha stanziato appena 5,1 milioni di euro. Una cifra appena sufficiente a consentire 2 mesi di lavoro nel Paese di un’organizzazione umanitaria come Oxfam.

Da qui l’appello che rilanciamo con forza al nuovo Governo Draghi per un deciso aumento degli aiuti. Governo che ci auguriamo si batta finalmente in sede internazionale perché si arrivi ad uno stop definitivo al conflitto. Un pre-requisito è sicuramente estendere lo stop all’export di armamenti italiani verso tutti i Paesi che compongono la coalizione saudita, allargando il divieto a tutte le tipologie di armamenti.

Il prossimo 26 marzo ricorrerà il sesto anniversario dallo scoppio del conflitto e il popolo dello Yemen non può più aspettare.

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