Fame nel mondo: 121 milioni di persone in più rispetto al 2019

Nel mondo è a rischio la vita di milioni di persone, non hanno cibo e acqua pulitaEntro la fine del 2020, potrebbero morire 12 mila persone al giorno a causa della fame innescata dal Covid-19. Potenzialmente più di quanti ne stia uccidendo il virus, che sino ad oggi ha fatto registrare un tasso di mortalità media di circa 10 mila vittime al giorno nel mondo.

Nel nostro nuovo rapporto “Il virus della fame” emerge che 121 milioni di persone in più potrebbero ritrovarsi nel 2020 letteralmente senza nulla da mangiare per periodi prolungati, a causa dell’impatto della crisi economica e sociale legata alla pandemia. Soprattutto in aree del mondo già devastate da guerra, disuguaglianza estrema, cambiamenti climatici e quel sistema alimentare distorto, che impoverisce milioni di piccoli produttori e lavoratori agricoli.

Entro la fine dell’anno a causa della pandemia oltre 270 milioni di persone –  che già lottano per sopravvivere a guerre, disuguaglianze, cambiamenti climatici – potrebbero finire nella morsa della fame cronica, vale a dire un aumento dell’82%, rispetto all’anno scorso. Allo stesso tempo, le 8 più grandi aziende dell’alimentare hanno provveduto a versare ai propri azionisti ben 18 miliardi di dollari, a partire da quando l’epidemia ha cominciato a diffondersi nel mondo nello scorso gennaio. Una cifra 10 volte superiore a quella che le Nazioni Unite stimano come necessaria a sconfiggere la piaga della fame nel mondo. Inoltre più di 305 milioni di posti di lavoro sono andati perduti, cosa che non farà che alimentare la forbice delle disuguaglianze economiche e sociali spingendo sempre più persone in povertà.

In 10 Paesi vive il 65% delle persone colpite da grave denutrizione

Il drammatico elenco dei 10 luoghi del mondo in cui si soffre maggiormente la fame, comprende paesi come lo Yemen, la Siria, l’Afghanistan e il Sud Sudan – colpiti da crisi alimentari, ulteriormente peggiorate con la pandemia – ma anche paesi a medio reddito come India, Sud Africa e Brasile con milioni di persone già in bilico, definitivamente messe in ginocchio dal virus.

  • In Yemen: nei primi 4 mesi dell’anno le rimesse sono crollate dell’80% – per 253 milioni di dollari – come conseguenza della grande perdita di posti di lavoro nel Golfo. La chiusura di confini e vie di approvvigionamento ha inoltre portato a una diminuzione delle scorte e fatto schizzare i prezzi alimentari, in un paese che importa il 90% del suo cibo: solo a marzo le importazioni di beni alimentari erano crollate del 43%.
  • In Siria: a oltre 10 anni dall’inizio del conflitto più di 9,3 milioni di persone soffrono la fame e altri 2 milioni potrebbero aggiungersi entro l’anno, con un incremento del 42% rispetto al 2019. Si rischia un definitivo collasso dell’economia, causato dalla pandemia, con i prezzi dei beni alimentari schizzati alle stelle.
  • In Sahel: le restrizioni alla mobilità hanno impedito a milioni di allevatori di portare il bestiame su pascoli più verdi, mettendo a rischio la vita di milioni di persone. Al momento solo il 26% dei 2,8 miliardi di dollari necessari per rispondere all’emergenza Covid è stato stanziato.
  • In Brasile: milioni di lavoratori poveri, privi di risparmi o sussidi su cui contare, hanno perso ogni forma di reddito a causa del lockdown e dello smantellamento dei sistemi di tutela sociale e alimentare attuata dal governo Bolsonaro. In uno dei paesi più colpiti al mondo dalla pandemia, attraversato già da enormi disuguaglianze, a fine giugno, solo il 10% del sostegno finanziario promesso dal governo federale è stato erogato. Una situazione che non ha fatto che avvantaggiare le grandi aziende rispetto alle più piccole, con i lavoratori che per primi ne hanno fatto le spese.
  • In India: il lockdown ha lasciato gli agricoltori senza la forza lavoro dei migranti in piena stagione del raccolto, con la conseguenza che in buona parte è andato completamente perso.  I commercianti per la stessa ragione non hanno potuto raggiungere le comunità tribali e comprare i prodotti raccolti nelle foreste – come il tamarindo o i semi di karanja – con la conseguenza che circa 100 milioni di persone rimarranno senza la loro principale fonte di reddito.

Donne a rischio fame

Le donne – e le famiglie che dalle donne dipendono – sono maggiorente esposte al rischio fame, nonostante il ruolo essenziale che svolgono come produttrici di cibo e lavoratrici. Nel loro caso, la pandemia ha accentuato una vulnerabilità già esistente, dovuta a cause diverse ma collegate tra loro, come la discriminazione che le porta a guadagnare meno o ad avere meno beni rispetto agli uomini; il lavoro informale, da loro svolto in grandissima parte, che ha finito per lasciare milioni di persone prive di tutele e sostegni economici; o il lavoro di cura non retribuito, che è notevolmente aumentato con la chiusura delle scuole e la necessità di prendersi cura delle persone ammalate in famiglia.

Costruire un sistema alimentare equo

I governi devono certamente contenere la diffusione di un virus mortale come il Covid-19, ma allo stesso tempo devono agire con urgenza per fermare quello della fame che appare ancora più letale. Possono salvare vite finanziando pienamente l’appello di risposta al Covid-19 delle Nazioni Unite, cancellando il debito dei paesi in via di sviluppo, per liberare risorse da investire in forme di protezione sociale e nell’assistenza sanitaria.

La risposta di Oxfam alla pandemia

Dall’inizio della pandemia abbiamo portato cibo, acqua pulita e beni di prima necessità a 4,5 milioni di persone nelle aree più povere e vulnerabili di 62 paesi, dallo Yemen, alla Siria, al Sahel, all’India. Entro l’anno ha l’obiettivo di raggiungere 14 milioni di persone, raccogliendo 113 milioni di euro per sostenere i propri programmi.

I dati sulla risposta di Oxfam nel mondo, riportati nella mappa interattiva, vengono aggiornati periodicamente ogni due settimane. Il numero di persone raggiunte da Oxfam Italia è in corso di aggiornamento. Attualmente Oxfam Italia ha aiutato oltre 6.600 persone.

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