A tre anni dall’inizio del conflitto siriano, per le persone come Ammar è difficile avere speranza di tornare a casa.
Ammar ha un sorriso dolce, ma un cuore pesante.
Ammar era un sarto in Siria, e ci racconta che stava bene. Ricorda: “Ero un cittadino come tanti. Avevo una vita impegnata, con la mia famiglia vivevamo in pace e bene”.
Il bimbo più piccolo di Ammar, Sham, è nato in Giordania e adesso ha poco meno di un anno. La seconda, Islam, due anni e mezzo, è curiosa e adora disegnare. Fa domande su tutto, ma Ammar si sente colpevole che la sua famiglia sia al sicuro quando ci sono milioni di bambini ancora intrappolati dalla guerra.
Saeed, il figlio di Ammar, otto anni, è l’opposto di Islam. E’ timido e tranquillo ed è chiaro che è stato profondamente colpito da quanto ha visto e sperimentato negli ultimo tre anni.
Ammar è preoccupatissimo sulle sorti dei membri della sua famiglia che hanno appena lasciato la Siria. La cosa peggiore è non sapere. “Quasi tutta la mia famiglia è in Siria, ma le linee telefoniche sono sempre interrotte. Grazie a Dio ieri sono riuscito a parlare con uno dei miei fratelli più grandi che mi ha detto che mia madre sta bene. Ho saputo da lui che alcune delle mie sorelle sono in Turchia. Non so se altri miei fratelli siano vivi o morti – non posso rintracciarli. Siamo separati in paesi diversi… la famiglia è come il corpo – se perdi un organo, un dito, una gamba, il dolore è insopportabile. E anche se la famiglia si riunisce la cicatrice rimarrà e il dolore ci sarà sempre”.
Il viaggio di Ammar dalla Siria fino in Giordania è stato difficile – reso più difficile dall’essere accompagnato dai bambini, cercando di sfuggire alle bombe che colpivano Aleppo. Ammar non ha speranze in una fine pacifica del conflitto.
Oxfam ha dato ad Ammar e alla sua famiglia prodotti igienici e per la pulizia, e un contributo per pagare l’affitto, così che possano spendere quello che hanno per cibo e beni essenziali.