Studenti al computer, East London, Sudafrica. Credits Areta Sobieraj/OxfamItalia
Studenti al computer, East London

Abbiamo intervistato Siya Taho, insegnante di informatica alla Mzokhanyo High School di Duncan Village, Comune di Buffalo City (East London), che attraverso il progetto Netsafrica è gemellata “virtualmente” con l’Istituto comprensivo “Portelli” di Loro Ciuffenna (Ar). Grazie a Skype, lui e i suoi studenti hanno scoperto di avere in comune molte cose con l’Italia…

Parlaci della scuola e dei tuoi ragazzi
«La nostra scuola si trova a Duncan Village, una  township alle porte di East London. E’ una scuola pubblica; rispetto a quelle private, ha una retta molto inferiore – come inferiore, purtroppo, è la qualità dell’insegnamento. Ci sono molte scuole in Sudafrica, nelle città e nelle township, ma la qualità delle infrastrutture non è molto elevata; questo penso sia anche il principale problema di Mzokhanyo.
Il materiale didattico non manca, la mensa funziona e il laboratorio di informatica è abbastanza attrezzato, ma molte aule hanno il tetto sfondato o i muri scrostati perché quando la scuola è chiusa i ragazzi del quartiere si introducono per “rubare” i fili dell’elettricità per rivenderli o per collegare la propria casa ai tralicci della corrente.
Gli studenti sono 1.100, dai 14 ai 18 anni. Ogni classe ha circa 25-30 alunni. La scuola offre tre indirizzi di studio: scienze naturali, commercio e scienze umane. Le lezioni iniziano alle 7:45 e finiscono alle 14:30. Le materie principali sono lingua IsiXhosa, inglese, matematica, educazione civica, scienze sociali e storia, arte ed economia. Abbiamo poi lezioni di danza, teatro, musica, calcio, boxe e rugby.
Credo che la sfida più grande per i miei studenti consista nel lasciare fuori da scuola la realtà di tutti i giorni, che è spesso fatta di droga e violenza. Qui trovano un universo di valori diverso.»

Veniamo al progetto; come ha funzionato lo scambio in rete? Cosa ne pensano i ragazzi?
«Il progetto prevede diversi moduli “virtuali” svolti da tutte le classi partecipanti grazie a una piattaforma interattiva; attualmente abbiamo avviato il primo, che è di presentazione e conoscenza.  Gli altri prevedono che i ragazzi si confrontino sui temi più disparati, utilizzando forum, chat, condivisione di file multimediali, ecc… Alla fine organizzeremo una videoconferenza tra tutte le classi gemellate. I ragazzi coinvolti appartengono a diverse classi e hanno 13-14 anni; sono interessati ed entusiasti, soprattutto per il fatto di avere la possibilità di usare il computer, ma anche per entrare in contatto con coetanei che vivono dall’altra parte del mondo.
Tra di loro non sono emersi problemi legati a violenza e disparità economiche; le professoresse in Italia temevano che il confronto potesse in qualche modo sottolineare le differenze nel tenore di vita. In realtà l’interesse dei ragazzi si concentra sullo stile di vita, più che sul tenore, e su tutti quei temi come lo sport, la musica e il tempo libero, che rappresentano fattori d’unione piuttosto che di divisione.»

Perché hai scelto di partecipare al progetto?
«Penso sia importante che i miei studenti imparino cosa fanno gli altri ragazzi dall’altra parte del mondo e si rendano conto di cosa si può fare oggigiorno grazie alla tecnologia.
Spero che alcuni di loro possano andare in Italia e che anche noi si possa ospitare studenti italiani, sarebbe una bellissima esperienza. Durante la sperimentazione la cosa che mi è piaciuta di più è stata avere una rappresentanza del mondo in classe: studenti Xhosas, indiani, italiani, africani – esattamente come avviene con la coppa del mondo di calcio.
Ho scoperto che in Italia l’agricoltura è molto importante, come qui da noi, e ho capito anche quanto gli italiani siano attivi nell’aiutare altri paesi come l’Africa, cosa che nel calcio non si vede.»

A cura di Marinella Sorino, Ufficio Africa Sub-Sahariana, Ucodep

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